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Filogenesi del declino della fitness in correlazione con l'età
allo stato naturale e dei fenomeni correlati [Traduzione della pagina: "http://www.programmed-aging.org/theory-2/aging_phyl.htm" dal sito: "http://www.programmed-aging.org"] |
RIASSUNTO
L'apoptosi, il sistema telomero--telomerasi, la senescenza cellulare e la senescenza replicativa,
una caratteristica della senescenza cellulare, sono ubiquitari nelle specie eucarioti. Inoltre in alcune
specie di eubatteri, la “proapoptosi”, un tipo di suicidio cellulare, è determinato da molecole omologhe
alle proteine apoptotiche, suggerendo una comune origine filogenetica.
I sofisticati meccanismi e le regolazioni alla base di questi fenomeni sono geneticamente determinati.
Una caratteristica comune è che essi sono sempre dannosi per l'individuo monocellulare o per l'organismo
multicellulare o per la singola cellula nell'ambito di un organismo multicellulare in cui agiscono.
Comunque, essi sono verosimilmente vantaggiosi per cellule o individui imparentati.
In particolare, in alcune specie eucarioti, un effetto importante è che possono causare, in condizioni
naturali, un declino della fitness correlato con l'età, fenomeno anche indicato con il termine impreciso
di “invecchiamento”.
Qui si suggerisce che i loro significati evoluzionistici sono da ricercarsi nell'ambito della selezione
di parentela, e sono evidenziate le analogie tra la loro azione in eucarioti monocellulari e multicellulari.
Un ricostruzione filogenetica basata sui loro significati adattativi è proposta.
PAROLE CHIAVE: IMICAW, IMICAC, invecchiamento, telomero, telomerasi, apoptosi, proapoptosi
Una premessa è indispensabile per evitare fraintendimenti.
Il fenomeno di una “crescente mortalità in correlazione con l'età in popolazioni in condizioni naturali ("increasing
mortality with increasing chronological age in populations in the wild”, "IMICAW";
[Libertini, 1988]), alias “senescenza statistica in condizioni naturali ("actuarial
senescence in the wild”; [Holmes and Austad, 1995]),
alias "declino della fitness in correlazione con l'età in condizioni naturali", è un fenomeno reale e ben documentato
[Deevey, 1947; Laws and Parker, 1968;
Spinage, 1970, 1972; Finch, 1990;
Holmes and Austad, 1995; Ricklefs, 1998].
Per definizione, in base alla sua presenza in condizioni naturali, il fenomeno IMICAW è soggetto alla selezione
naturale e non dovrebbe essere confuso con la "crescente mortalità in correlazione con l'età in cattività"
("increasing mortality with increasing chronological age in captivity", "IMICAC";
[Libertini 1988]), che è
riscontrata in laboratorio ad età non esistenti allo stato selvatico per specie che nelle medesime condizioni
non presentano il fenomeno IMICAW. Per definizione, in base alla sua assenza in condizioni naturali, il fenomeno
IMICAC non è soggetto alla selezione naturale. In particolare, il concetto di "fitness" nell'ambito del "declino
della fitness in correlazione con l'età in condizioni naturali" è incompatibile con le condizioni artificiali definite
nel concetto di IMICAC.
Argomento di questo lavoro è soltanto il fenomeno IMICAW, ovvero il declino della fitness in correlazione
con l'età, nonché i fenomeni correlati, e non il fenomeno IMICAC. Questa precisazione è importante in quanto
nella corrente letteratura scientifica e nelle idee prevalenti a riguardo del declino della fitness in correlazione
con l'età entrambi i fenomeni sono compresi in modo confuso in un unico termine impreciso, vale a dire
"invecchiamento" (o "senescenza").
I concetti e i risultati imprecisamente riferiti all'invecchiamento ma, in effetti, concernenti il fenomeno IMICAC
(ad es., gli innumerevoli articoli concernenti la sopravvivenza in condizioni di laboratorio e ad età inesistenti in
condizioni naturali di C. elegans e D. melanogaster) non saranno considerati in questo lavoro, non per
imprecisione o per voler essere concisi ma per il fatto che non sono pertinenti all'argomento.
Inoltre, in questo lavoro, il termine "invecchiamento" sarà adoperato solo facendo riferimento alle idee correnti
dove un suo preciso significato non è definito.
INTRODUZIONE
Se specie separate da differenti storie evolutive di centinaia di milioni di anni mostrano eguali o simili
caratteri che sono palesemente di comune origine filogenetica, è necessario indagare a riguardo di funzioni
identiche o analoghe che spieghino la loro persistenza evolutiva e la loro somiglianza.
Fenomeni come l'apoptosi, il sistema telomero-telomerasi, la senescenza cellulare e la senescenza replicativa (ovvero,
in relazione al numero di replicazioni cellulari, in una singola cellula: l'improvviso declino delle
funzioni cellulari e il blocco delle capacità di duplicazione; in una cultura cellulare: il complessivo
crescente declino delle funzioni cellulari e delle capacità di duplicazione), che sarà discusso nella
successiva sezione, esiste nel lievito, un eucariote monocellulare, e nelle specie eucarioti multicellulari
con una storia evolutiva divergente almeno dall'inizio del periodo Cambriano, circa 600 milioni di anni fa
[Minkoff, 1983].
Inoltre, la “proapoptosi” [Hochman, 1997], una forma di suicidio della cellula
eubatterica con meccanismi chiaramente correlati con quelli della apoptosi degli eucarioti
[Koonin and Aravind, 2002],
indica una persistenza e una somiglianza evolutiva molto più antica.
Il presente lavoro espone le principali caratteristiche in comune di questi fenomeni, cercando di spiegare il loro
significato evolutivo in generale e le correlazioni filogenetiche.
EVIDENZA EMPIRICA
A) LIMITI NELLE CAPACITA' DI DUPLICAZIONE
A-1) Negli eucarioti multicellulari
Le cellule normali non germinali di un eucariote multicellulare con limitata longevità in generale possono
duplicarsi solo un numero limitato di volte sia in vitro [Hayflick, 1965;
Hayflick and Moorhead, 1961]
che in vivo [Schneider and Mitsui, 1976].
Questo fenomeno (limite di Hayflick), ben documentato per molti tipi di cellule
[Rheinwald and Green, 1975; Bierman, 1978;
Tassin et al., 1979], presenta una
correlazione inversa con le età dei donatori di origine [Martin et al., 1970] e,
con eccezioni che saranno discusse di seguito, una approssimativa correlazione con la longevità della
specie da cui le cellule sono ricavate [Röhme, 1981].
La principale causa del fenomeno, da molti anni conosciuto essere causato da qualcosa che agiva nel nucleo
[Wright and Hayflick, 1975], fu suggerito essere il risultato
di una incompleta azione della DNA polimerasi, che ad ogni duplicazione lasciava fuori una parte della
porzione terminale del DNA, il telomero [Watson, 1972]. Questa incompleta
replicazione provoca un progressivo accorciamento della molecola di DNA con un correlato aumento nella
compromissione delle capacità di duplicazione [Olovnikov, 1973].
I telomeri sono sequenze ripetitive di DNA altamente conservate (ad es., TTGGGG in un protozoo
[Blackburn and Gall, 1978], TTAGGG nei mammiferi
[Moyzis et al., 1988] e in molte altre specie
[Blackburn, 1991]). I telomeri si accorciano ad ogni
duplicazione [Harley et al., 1990], ma un enzima,
la telomerasi, può allungare i telomeri ad ogni replicazione, in tal modo compensando per l'incompleta
azione della DNA polimerasi. L'azione della telomerasi spiega perché alcune cellule, come quelle della
linea germinale, hanno illimitate capacità di duplicazione [Greider
and Blackburn, 1985].
Con l'inattivazione della telomerasi, i telomeri si accorciano ad ogni duplicazione e, in una cultura
cellulare o in un tessuto, la complessiva capacità di duplicazione è ridotta [Yu
et al., 1990]. Al contrario, l'attivazione della
telomerasi allunga i telomeri e le cellule diventano capaci di duplicarsi in misura illimitata
[Bodnar et al., 1998; Counter et al., 1998;
de Lange and Jacks, 1999; Vaziri, 1998;
Vaziri and Benchimol, 1998]. Inoltre, è stato dimostrato che la telomerasi
è attiva in linee cellulari umane che sono immortali [Morin, 1989], mentre
in altre cellule è stato provato che è repressa da proteine regolatrici [van
Steensel and de Lange, 1997].
In una cultura cellulare, l'incapacità finale di una cellula a duplicarsi (senescenza replicativa) fu
dimostrato essere non un evento improvviso per tutte le cellule nello stesso momento ma una progressiva
riduzione del potenziale di crescita della cultura cellulare che dipendeva dalla riduzione della lunghezza
del telomero [Jones et al., 1985;
Pontèn et al., 1983].
In base al modello proposto da Blackburn [Blackburn, 2000], particolari
nucleoproteine protettive
incappucciano i telomeri, che oscillano tra le condizioni con e senza cappuccio: la durata del primo
stato è correlata direttamente con la lunghezza del telomero mentre l'altro stato è vulnerabile al
passaggio allo stato di blocco della capacità duplicativa (“noncycling state”) o stato finale della
senescenza replicativa (fig. 1).
Figura 1 – Il telomero oscilla tra le condizioni con e senza cappuccio. La probabilità della condizione senza
cappuccio si accresce ad ogni duplicazione in relazione all'accorciamento del telomero. Il telomero senza
cappuccio agisce come il capo terminale di una molecola di DNA spezzata, il che può provocare una fusione
tra due capi terminali ed il blocco delle duplicazioni cellulari.
Una popolazione di cellule con telomeri alla loro massima lunghezza, ma con telomerasi inattivata,
mostra un progressivo declino nelle capacità di replicazione. Perfino cellule con telomerasi attivata e
pertanto con i telomeri costantemente alla massima lunghezza, dovrebbero mostrare ad ogni divisione
una piccola percentuale di cellule che passano allo stato di blocco della capacità duplicativa. Inoltre,
è stato proposto che le cellule staminali, a differenza delle cellule germinali, hanno livelli di attività della
telomerasi che sono solo in parte capaci di stabilizzare la lunghezza del telomero
[Holt et al., 1996] e per questo motivo esse non possono sostituire
indefinitamente gli elementi apoptotici per popolazioni cellulari in turnover
[Fossel, 2004].
La lunghezza assoluta dei telomeri non permette di predire la longevità di una specie. Il topo e il criceto sono specie
con lunghi telomeri [Slijepcevic and Hande, 1999], eppure invecchiano
più precocemente di specie come l'uomo, che ha telomeri più corti. Inoltre, nei rodenti, l'attività della
telomerasi non è correlata alla longevità massima [Gorbunova et al., 2008].
Comunque, l'ipotesi di Blackburn non postula per specie differenti un rapporto fisso tra la lunghezza del telomero
o l'attività della telomerasi e la stabilità del complesso telomero-nucleoproteine del cappuccio: è facile supporre
che la stabilità del complesso e, in generale, la modulazione del sistema telomero-telomerasi sia differente
da specie a specie. Quel che verosimilmente importa è la lunghezza critica specie-specifica del telomero
e l'accorciamento relativo piuttosto che assoluto del telomero [Fossel, 2004].
In relazione al numero medio di duplicazioni in una cultura cellulare o in un tessuto, vi è una probabilità crescente
di senescenza cellulare, un "fondamentale programma cellulare"
[Ben-Porath and Weinberg, 2005],
che è caratterizzato da una alterata espressione di molti geni usualmente attivi nella cellula, compromettendo
la complessiva funzionalità cellulare, e dalla senescenza replicativa. Una cellula senescente comporta
conseguenze deleterie sulla matrice extracellulare così come su altre cellule fisicamente vicine o
fisiologicamente interdipendenti. La senescenza cellulare, e la senescenza replicativa che è una delle sue
caratteristiche, di certo derivano in qualche modo dall'accorciarsi relativo del telomero (“modello limitato
della senescenza cellulare” di Fossel) [Fossel, 2004].
A riguardo del meccanismo che è alla base della senescenza cellulare:
“Un modello del legame tra telomero e espressione genica è una struttura cromosomica alterata
(Ferguson et al., 1991), come un 'cappuccio' di eterocromatina che copre il telomero e un tratto
variabile del cromosoma subtelomerico (Fossel, 1996; Villeponteau, 1997; Wright et al., 1999). Man
mano che il telomero si accorcia, il cappuccio scivola sempre più lungo il cromosoma (il cappuccio di
eterocromatina rimane invariabile nelle sue dimensioni e semplicemente si sposta man mano che il
telomero si accorcia) oppure il cappuccio si accorcia (poiché il telomero è meno capace di trattenere
l'eterocromatina). In entrambi i casi, il risultato è una compromissione della trascrizione da parti del
cromosoma immediatamente adiacenti al complesso telomerico, in genere causando repressione
trascrizionale, sebbene il controllo è senza dubbio più complesso di un mero effetto del telomero
causato dalla contiguità (Aparicio and Gottschling, 1994; Singer et al., 1998; Stevenson and Gottschling, 1999).
Questi geni repressi possono a loro volta modulare altri e più distanti geni (o gruppi di geni). Vi è qualche
diretta evidenza per una tale modulazione nel subtelomero ...” [Fossel, 2004].
Queste affermazioni sono largamente basate su esperimenti sul lievito ma possibili deduzioni per eucarioti
monocellulari debbono considerare per questi organismi l'invariabilità della lunghezza del telomero
in caso di duplicazioni (vedi prossimo paragrafo).
D'altra parte, la verosimiglianza che un meccanismo di questo tipo è plausibile per eucarioti multicellulari
è ampiamente discusso da Fossel (v. pagine 45-56 in [Fossel, 2004]; uno schema verosimile
è illustrato nella fig. 2).
Figura 2 – L'espressione di molti geni è compromessa in relazione con il progressivo accorciarsi del telomero.
Come ipotesi verosimile, un tratto di DNA subtelomerico regola la funzionalità complessiva della cellula e la sua
azione è compromessa dal progressivo scivolamento del "cappuccio" eterocromatinico causato dall'accorciamento
del telomero [Fossel, 2004].
Il 'cappuccio' eterocromatinico [Fossel, 2004] e le nucleoproteine che incappucciano il telomero
[Blackburn, 2000] sono assai verosimilmente la stessa cosa in quanto: 1) si suppone che si trovano
nella stessa parte del cromosoma; 2) l'attivazione della telomerasi e il conseguente allungarsi del telomero causano il regredire
sia delle manifestazioni della senescenza cellulare che della senescenza replicativa
[Bodnar et al., 1998; Counter et al., 1998;
de Lange and Jacks, 1999].
Per le cellule della linea germinale e per le cellule somatiche di un donatore originanti un animale clonato, il reset
dell'orologio telomerico è indispensabile [Fossel, 2004]. La lunghezza di partenza del telomero
deve essere stabilita, in quanto con ogni successivo accorciamento del telomero aumenterà la probabilità della senescenza cellulare e
della senescenza replicativa. Il valore assoluto della “lunghezza del telomero è irrilevante” [Fossel, 2004]:
due ceppi di topo (Mus) con differente lunghezza del telomero (rispettivamente 10 e 20 kb) presentano la stessa
longevità ed eguali tempi di insorgenza della senescenza cellulare; analogamente lo stesso è vero per animali
donatori e per animali clonati derivati da cellule con telomeri accorciati [Fossel, 2004].
Una appropriata modellazione del cappuccio eterocromatinico in funzione della lunghezza del telomero potrebbe spiegare gli
eguali tempi di insorgenza della senescenza cellulare e della senescenza replicativa nonostante le
differenti lunghezze dei telomeri (fig. 3).
Figura 3 – Nel reset dell'orologio telomerico, il cappuccio eterocromatinico è modellato in proporzione alla lunghezza
del telomero e non varia per tutta la durata della vita della cellula. L'accorciamento del telomero in relazione al numero
delle duplicazioni provoca lo scivolamento del cappuccio eterocromatinico sul DNA subtelomerico che regola sia
la complessiva funzionalità cellulare sia l'equilibrio fra la condizione con e senza cappuccio del telomero. La progressiva
repressione del DNA subtelomerico accresce il grado di senescenza cellulare e la probabilità di senescenza
replicativa. Questo modello ipotetico potrebbe spiegare la forte irrilevanza della lunghezza iniziale del telomero
a riguardo delle conseguenze del suo successivo accorciamento [Fossel, 2004].
Il topo e altri animali hanno una longevità inferiore, nonostante una attività di base della telomerasi in molte cellule somatiche [Prowse and Greider, 1995] e telomeri molto più lunghi rispetto a quelli della nostra specie [Slijepcevic and Hande, 1999]. (Ma, nelle cellule della microglia del topo, i telomeri si accorciano con l'età e "i bassi livelli di attività della telomerasi che si riscontrano possono essere preferenzialmente impiegati per preservare i telomeri più corti pur permettendo a quelli più lunghi di accorciarsi più rapidamente" [Flanary, 2003].) Inoltre, nei topi knockout (mTR-/-), che hanno la telomerasi geneticamente inattivata, solo dopo un numero di generazioni da quattro [Herrera et al., 1999] a sei [Blasco et al., 1997], con telomeri molto accorciati, la fertilità e la vitalità sono compromesse, sebbene organi con alto turnover cellulare mostrano disfunzioni nelle prime generazioni [Herrera et al., 1999; Lee et al., 1998]. Il modello della fig. 3, come esposto nella fig. 4, potrebbe spiegare questo fenomeno apparentemente paradossale.
Figura 4 – Per il modello della fig. 3, la lunghezza del cappuccio eterocromatinico nei topi knockout, definita nella fase di
reset, è proporzionale alla lunghezza del telomero. Il successivo scivolamento del cappuccio eterocromatinico sul DNA
subtelomerico e la conseguente repressione genetica è indipendente dalla lunghezza del cappuccio. Con un eccessivo
accorciamento del telomero, il meccanismo è compromesso e la vitalità cellulare è persa. La breve durata della vita del
topo e di altre specie con lunghi telomeri è spiegata da un basso grado specie-specifico della stabilità del complesso
telomero + cappuccio eterocromatinico.
Il DNA subtelomerico sembra avere sia un'importanza fondamentale per la complessiva funzionalità cellulare sia una
collocazione di per sé vulnerabile all'inattivazione dall'accorciamento del telomero. Escludendo la possibilità di una
assurda illogicità evolutiva, questa coincidenza può essere spiegata solo come qualcosa favorito dalla selezione naturale
per determinare la senescenza cellulare e la senescenza replicativa. Un possibile scenario per l'evoluzione del sistema
telomero-senescenza cellulare è proposto di seguito.
A-2) In un eucariote monocellulare
Il lievito (Saccharomyces cerevisiae), una specie eucariote monocellulare ben studiata, si riproduce per divisione
asimmetrica in una cellula madre e in una cellula figlia. La linea cellulare delle cellule madri può riprodursi soltanto per un numero
limitato di volte, specificamente tra 25 e 35 generazioni in circa 3 giorni [Jazwinski, 1993].
Nel lievito, sia nelle cellule madri che in quelle figlie, la lunghezza del telomero non decresce con le
duplicazioni [D’Mello and Jazwinski, 1991;
Smeal et al., 1996]. “Le cellule del lievito che nascono per gemmazione [= cellule figlie]
esprimono la telomerasi e si dividono indefinitamente.” [Maringele and Lydall, 2004]
Nelle cellule madri del lievito di tipo selvatico, circoli ribosomali extracromosomici di DNA ("extrachromosomal ribosomal DNA circles", ERC)
si accumulano in proporzione al numero di duplicazioni [Sinclair and Guarente, 1997]
e “molti tipi di dati suggeriscono che l'accumulazione degli ERC è un determinante della longevità”
[Lesur and Campbell, 2004].
Gli ERC, o qualche altro fattore sconosciuto, interferiscono con l'espressione genica, e mutanti come i dna2-1, i quali presentano
anormalità nella replicazione del DNA e pertanto aumentati tassi di accumulo degli ERC, soffrono di precoci alterazioni
dell'espressione genica. Specificamente, il transcriptoma di individui più vecchi (18ma generazione) del lievito di ceppo selvatico
sono simili a quelli di individui giovani (8a generazione) di mutanti dna2-1 [Lesur
and Campbell, 2004].
I mutanti carenti di telomerasi (mutanti tlc1Δ) mostrano, sia nelle cellule madri che in quelle figlie, l'accorciarsi dei telomeri.
Inoltre, gli individui più vecchi delle linee cellulari figlie, che non hanno alcun accumulo di ERC, presentano una espressione complessiva
dei geni (transcriptoma) simile a quella di individui più vecchi del lievito di ceppo selvatico e a quello di individui giovani dei
mutanti dna2-1 [Lesur and Campbell, 2004]. E' possibile che nei
mutanti di lievito carenti di telomerasi, così come nelle cellule degli eucarioti multicellulari, l'accorciamento del telomero causa
lo scivolamento di un cappuccio eterocromatinico che va ad interferire con un segmento critico del DNA subtelomerico,
mentre nei ceppi selvatici di lievito il DNA subtelomerico è in qualche modo represso dagli ERC, o da qualche altro fattore sconosciuto (fig. 5).
Figura 5 – A) Nel lievito di ceppo naturale, gli ERC, o qualche altro fattore sconosciuto che si accresce
ad ogni duplicazione, interferisce con il DNA subtelomerico, ad es. aggiungendo qualcosa al cappuccio eterocromatinico
del telomero. Questo processo è accelerato nei mutanti dna2-1; B) Nei mutanti con deficienza di telomerasi, nelle
cellule della linea figlie che non presenta accumulo di ERC, l'accorciamento del telomero provoca uno scivolamento
del cappuccio eterocromatinico del telomero con repressione del DNA subtelomerico analoga a quella del caso A.
Nelle cellule vecchie del lievito, oltre alla senescenza replicativa, vi sono crescenti alterazioni metaboliche
[Lesur and Campbell, 2004], che possono essere definite come senescenza cellulare.
B) APOPTOSI
In contrasto con la necrosi, che è la morte di una cellula causata da un danno cellulare acuto, l'apoptosi è una forma ordinata
di autodistruzione cellulare che è ubiquitaria nelle specie eucarioti [Longo et al., 2005].
L'apoptosi per la prima volta fu descritta e chiaramente distinta dalla necrosi nel corso di osservazioni su epatociti di fegato sano
[Kerr et al., 1972]. E' descritta come un susseguirsi definito di eventi biochimici
che causano specifici cambiamenti morfologici (formazione di bolle, perdita della asimmetria funzionale e della capacità
di adesione delle membrane, raggrinzamento della cellula, frammentazione del nucleo, addensamento della cromatina,
frammentazione del DNA cromosomico, etc.).
B-1) Negli eucarioti multicellulari
La morte programmata di una cellula mediante apoptosi, selettivamente attivata per alcune cellule in tempi
specifici, è essenziale per i meccanismi morfogenetici (ad es., sviluppo embrionale del sistema nervoso
[Nijhawan et al., 2000], guarigione delle ferite
[Greenhalgh, 1998]), selezione dei linfociti [Cohen,
1993; Opferman, 2008], turnover cellulare in organi sani nell'adulto
[Israels and Israels, 1999; Lynch et al., 1986;
Medh and Thompson, 2000; Wyllie et al., 1980]
(come documentato per molti tessuti ed organi [Libertini, 2006]), rimozione di cellule
danneggiate o infette [Tesfaigzi, 2006; White, 2006], etc.
Nell'apoptosi, i detriti cellulari non danneggiano le altre cellule poiché i fagociti rimuovono tali frammenti cellulari in maniera ordinata
senza stimolare una risposta infiammatoria [Erwig and Henson, 2008].
La telomerasi inattivata e i telomeri accorciati accrescono la probabilità di apoptosi [Fossel, 2004;
Ozen et al., 1998; Holt et al. 1999;
Seimiya et al., 1999; Ren et al., 2001].
B-2) In un eucariote monocellulare
Nel lievito, un fenomeno strettamente somigliante all'apoptosi degli eucarioti multicellulari è stato descritto abbastanza
di recente [Madeo et al., 1997]. Fu subito evidente che l'espressione
accentuata del Bcl-2 umano, un fattore inibente dell'apoptosi, nel lievito ritarda i processi che portano al fenomeno
[Longo et al., 1997], mentre l'espressione accentuata di un fattore
che induce l'apoptosi nei mammiferi (BAX) poteva stimolarla [Ligr et al., 1998].
Un insieme crescente di prove ha documentato similitudini tra questo fenomeno nel lievito e l'apoptosi negli eucarioti
multicellulari, in misura tale che entrambi meritano lo stesso nome. Questi dati pertanto suggeriscono che i due
fenomeni condividono una comune origine filogenetica [Kaeberlein et al., 2007;
Longo et al., 2005; Madeo et al., 1999]:
“... a partire dalla prima descrizione dell'apoptosi in un ceppo di lievito (Saccharomyces cerevisiae) avente una mutazione CDC48
(Madeo et al., 1997), sono state scoperte nel lievito molte proteine ortologhe di cruciali proteine apoptotiche dei mammiferi
(Madeo et al., 2002; Fahrenkrog et al., 2004; Wissing et al., 2004; Qiu et al., 2005; Li et al., 2006; Walter et al., 2006),
e sono state delineate vie biochimiche apoptotiche conservate, proteasomiche, mitocondriali, e regolate da istoni
(Fig. 1; Manon et al., 1997; Ligr et al., 2001; Ludovico et al., 2002; Fannjiang et al., 2004; Ahn et al., 2005a; Gourlay
and Ayscough, 2005; Pozniakovsky et al., 2005).” [Büttner et al., 2006]
Nel lievito, vi è una crescente vulnerabilità all'apoptosi e alla senescenza replicativa, quando il numero delle duplicazioni aumenta, insieme
con le alterazioni metaboliche della senescenza cellulare [Büttner et al., 2006;
Fabrizio and Longo, 2008; Herker et al., 2004;
Laun et al., 2001]. L'incremento correlato con l'età del tasso di mortalità
segue nel lievito una dinamica esponenziale [Laun et al., 2007], così come per gli organismi
multicellulari [Ricklefs, 1998].
L'apoptosi è anche scatenata o favorita da: a) un accoppiamento fallito [Büttner et al., 2006];
b) nutrienti decrescenti [Granot et al., 2003]; c) alterazioni
chimiche [Madeo et al., 1999]; e d) tossine assassine secrete da ceppi rivali
di lievito [Büttner et al., 2006].
Quando un individuo di lievito muore per apoptosi, i frammenti cellulari non danneggiano altre cellule e sono utilmente
fagocitati da altre cellule, le quali, di conseguenza, “sono capaci di sopravviver più a lungo con le sostanze rilasciate
dalle cellule morenti” [Herker et al., 2004].
Un confronto schematico tra l'apoptosi nel lievito e negli eucarioti multicellulari è illustrato nella fig. 6.
Figura 6 - Un confronto schematico per l'apoptosi fra lievito ed eucarioti multicellulari.
INTERPRETAZIONI EVOLUZIONISTICHE
C) NEGLI EUCARIOTI MONOCELLULARI
C-1) Apoptosi
Nel lievito, le modalità di apoptosi sono stati interpretate come adattative in quanto sono utili per la sopravvivenza
del clone, che verosimilmente è composto da individui imparentati [Fabrizio et al., 2004;
Herker et al., 2004; Longo et al., 2005;
Mitteldorf, 2006; Skulachev, 1999,
2002, 2003;
Skulachev and Longo, 2005]. Una eccezione è l'apoptosi scatenata
da tossine secrete da tribù di lievito in competizione, in cui i meccanismi apoptotici sono sfruttati da competitori per
accrescere la propria capacità di sopravvivenza [Büttner et al., 2006].
L'ipotesi adattativa appare plausibile quando una specie è divisa in molti piccoli demi, ciascuno dei quali è composto
da uno o pochi cloni, in precedenza derivati da altrettanti individui, e in condizioni di K-selezione, cioè con una dimensione
della popolazione “vicina [o al di sopra] delle capacità dell'ambiente di dare sostentamento” [Pianka, 1970].
In effetti, in tali condizioni, il sacrificio di parte della popolazione accresce le probabilità di sopravvivenza
degli individui rimanenti, che sono individui imparentati (coefficiente di parentela, r, eguale a 1 nel caso di un deme
costituito da un singolo clone, e maggiore di zero nel caso di un deme costituito da pochi cloni). In termini di fitness globale
("inclusive fitness") [Hamilton, 1964, 1970;
Trivers, 1971; Trivers and Hare, 1976],
gli individui suicidi - per azione di un ipotetico gene C - riducono la loro fitness individuale ma la accrescono per
gli individui imparentati sopravviventi in cui vi è una probabilità r dell'esistenza di una copia di C. La fitness globale di C
(FC) è data dalla somma della riduzione della fitness individuale degli individui suicidi più la sommatoria degli incrementi
delle fitness individuali dei sopravviventi ciascuna moltiplicata per la probabilità che C è presente in essi:
n1 n2
FC = Σ (rx Sx) + Σ (-S’x) (1)
x=1 x=1
dove n1 = numero di individui sopravviventi; Sx = vantaggio per un individuo sopravvivente;
rx = coefficiente di parentela tra un individuo sopravvivente e gli individui suicidi; n2 = numero
di individui suicidi; -S’x = svantaggio per ogni individuo suicida.
Se FC è positivo, C è favorito dalla selezione.
La possibilità che il suicidio di un individuo, definito “fenoptosi” per analogia con il termine apoptosi [Skulachev, 1999],
è favorito dalla selezione naturale anche negli organismi procarioti, è necessaria per spiegare l'esistenza della “morte programmata nei batteri”
[Lewis, 2000; Skulachev, 2003]: ad es., il suicidio
di massa nel fitoplancton batterico come difesa antivirale [Lane, 2008], il suicidio batterico scatenato dalla
infezione da parte di fagi “in tal modo limitando la moltiplicazione virale e proteggendo dall'infezione i vicini E. coli” [Raff, 1998]
e il “modulo interno di suicidio” attivato dagli antibiotici in E. coli
[Engelberg-Kulka et al., 2004].
In modo interessante, questi meccanismi sono stati definiti come “proapoptosi” e ipotizzati come precursori filogenetici dell'apoptosi
degli eucarioti [Hochman, 1997], in quanto condividono con essa varie caratteristiche:
“Molti enzimi chiave dei meccanismi apoptotici, comprese le famiglie paracaspasi e metacaspasi della superfamiglia delle proteasi
caspasi-simili, le ATPasi apoptotiche e le NTPasi della famiglia NACHT, e le protesi mitocondriali HtrA-simili, hanno diversi omologhi
negli eubatteri, ma non negli archeobatteri. L'analisi filogenetica suggerisce fortemente una origine mitocondriale per le metacaspasi
e per le proteasi HtrA-simili, mentre l'acquisizione da Attinomiceti sembra essere lo scenario più verosimile per le AP-ATPasi.
Gli omologhi delle proteine apoptotiche sono particolarmente abbondanti e diversi nei batteri che presentano uno sviluppo complesso, come gli Attinomiceti,
i Cianobatteri e gli alfa-proteobatteri, gli ultimi essendo progenitori dei mitocondri.”
[Koonin and Aravind, 2002].
C-2) La senescenza cellulare e la senescenza replicativa
Nel lievito, la crescente vulnerabilità all'apoptosi in relazione al numero di duplicazioni, una caratteristica della senescenza cellulare
[Fabrizio and Longo, 2008; Herker et al., 2004],
determina, o contribuisce a determinare, quali cellule moriranno in condizioni in cui il sacrificio di parte della popolazione
può permettere la sopravvivenza degli altri.
La senescenza cellulare e la senescenza replicativa possono essere spiegati con un meccanismo simile a
quello che spiega l'apoptosi ma con un differente vantaggio evolutivo. Infatti, Büttner et al. hanno proposto che “l'apoptosi
unitamente all'invecchiamento cronologico e replicativo limita la longevità che manterrebbe antiche varianti genetiche nell'ambito
della popolazione e, pertanto, favorirebbe il conservatorismo genetico.” [Büttner et al., 2006]
Questa non è una nuova argomentazione. Le condizioni ecologiche di vita del lievito, se sono del tipo della K-selezione,
ci permettono di ipotizzare che la senescenza cellulare e la senescenza replicativa sono adattative e spiegabili con lo stesso
meccanismo evolutivo proposto per il declino della fitness correlato con l'età in specie multicellulari soggette a
K-selezione [Libertini, 1988, 2006].
Questa è la stessa ipotesi sopra menzionata di Büttner et al., ma formulata in termini di selezione individuale.
In breve, la diffusione di un gene G è dipendente sia dal suo vantaggio S nei confronti di un allele neutrale sia
dall'inverso della durata media della vita ("mean duration of life", ML), o tempo di durata di una generazione (fig. 7).
Figura 7 - A) Diffusione di un gene (G) in base alla variazione di S; B) Diffusione di un gene in base alla variazione
della ML. Un incremento / decremento di S o di 1/ML hanno lo stesso effetto sulla diffusione di un
gene G nell'ambito di una specie [Libertini, 2006].
Un gene C che provoca la morte prematura di un individuo I, dove C è presente, e pertanto riduce la ML
dello stesso e causa uno svantaggio S’, accelera la diffusione di qualsiasi favorevole gene nell'individuo
(I’) che prende il posto di I. Se I’ è imparentato con I, la fitness complessiva (FC) sarà positiva,
e C sarà favorito dalla selezione, se:
n
FC = r × Σ (Sx) × (1/MLC - 1/MLC’) - S’ > 0 (1)
x=1
dove: MLC e MLC’ sono rispettivamente la ML di individui
con il gene C e con l'allele neutrale C’; Σ(Sx) è la sommatoria dei vantaggi degli n
geni favorevoli in diffusione nell'ambito della specie; -S’ è lo svantaggio di una più piccola ML;
r è il coefficiente medio di parentela tra I ed I’. (L'uso della selezione di parentela per spiegare il declino
della fitness correlato con l'età non dovrebbe essere confuso con l'uso dello stesso tipo di selezione
per spiegare la sopravvivenza nel periodo post-riproduttivo, come suggerito in altri lavori [Lee, 2008].)
Questa ipotesi fu formulata per organismi multicellulari ma non vi è alcuna argomentazione teorica contro
la sua applicazione agli eucarioti monocellulari. Büttner et al. non esprimono spiegazioni evoluzionistiche alternative per la senescenza
cellulare e la senescenza replicativa al di là dell'ipotesi prima menzionata [Büttner et al., 2006],
la quale è una breve riformulazione della teoria descritta.
In contrasto con questa ipotesi, Lewis obietta contro il “suggerimento che le cellule di lievito forniscono
un precedente per la morte programmata” [Lewis, 2000], proposto da altri AA.
[Sinclair et al., 1998], con la seguente osservazione:
se una cellula di lievito della linea materna muore dopo n duplicazioni (n = 25-35 in condizioni di laboratorio
[Jazwinski, 1993]), la morte di un singolo individuo tra 2n discendenti
(= 107-1010 individui) appare insignificante per qualsiasi teoria di morte programmata
che sia in qualche modo favorita dalla selezione naturale. In effetti, in condizioni naturali la probabilità che un individuo
della linea madre muoia per apoptosi dopo n duplicazioni è praticamente zero e il fenomeno,
essendo osservabile solo in condizioni di laboratorio, non può avere valore selettivo. Comunque, a questa argomentazione
sfugge un punto chiave: è importante non la morte dopo n duplicazioni di un singolo individuo tra innumerevoli
discendenti, ma la probabilità crescente di apoptosi - che è progressiva in misura esponenziale in relazione
al numero di duplicazioni -, unitamente alla differenza nei tassi di mortalità e nella capacità di avere prole
tra individui “più giovani” e “più vecchi” (“in una popolazione di cellule [di lievito] la curva di sopravvivenza
segue la legge di Gompertz” [Laun et al., 2007], ovvero un incremento
esponenziale della mortalità in correlazione con l'età; “La probabilità che una cellula individuo di lievito
produrrà figlie declina esponenzialmente in funzione della sua età in termini di divisioni cellulari o generazioni (Jazwinski
et al., 1998).” [Lesur and Campbell, 2004]) e, pertanto,
un ricambio delle generazioni più veloce provocato dalla morte preferenziale degli individui “più vecchi”.
Se la senescenza cellulare e la senescenza replicativa si manifestano in condizioni naturali e riducono in misura
significativa la ML di ceppi selvatici di lievito, l'obiezione di Lewis non invalida l'ipotesi che nel lievito
il declino della fitness correlato con il numero delle duplicazioni può avere un valore selettivo e può essere
favorito dalla selezione naturale. Comunque, l'obiezione di Lewis è molto interessante perché riecheggia una
argomentazione simile contro le teorie della senescenza programmata per organismi multicellulari
che sarà discussa nella successiva sezione.
D) NEGLI EUCARIOTI MULTICELLULARI
D-1) Apoptosi
Negli organismi multicellulari, l'apoptosi è essenziale per molte funzioni fisiologiche come prima accennato.
La spiegazione evoluzionistica per questi fenomeni è evidente e non sarà discussa.
D-2) La senescenza cellulare e la senescenza replicativa
Come sottolineato nella premessa, un incremento della mortalità correlato con l'età, ovvero un declino
della fitness, è documentato per molte specie in condizioni naturali (fig. 8).
Figura 8 - Un esempio di specie con declino della fitness correlato con l'età in condizioni naturali. Tavola di sopravvivenza
di Panthera leo dopo le prime fasi della vita: sopravviventi, mortalità basale (m0) e mortalità
crescente in correlazione con l'età (mi). L'equazione di Weibull (mt = m0
+ α × tβ) e i dati (m0 = 0.032, α = 2.52E-4, β = 3), utilizzati
per tracciare le curve, provengono da Ricklefs [Ricklefs, 1998].
Un meccanismo plausibile per questo declino della fitness è il progressivo rallentamento del turnover cellulare,
vale a dire una progressiva prevalenza della morte cellulare programmata ("programmed cell death", PCD),
per apoptosi o altre forme di PCD, sulla sostituzione cellulare per duplicazione delle cellule staminali
(“modello generale dell'invecchiamento basato sulla senescenza cellulare” di Fossel
[Fossel, 2004; Libertini, 2006]).
Una ipotesi di questo tipo fu suggerita per la prima volta da Weissmann [Kirkwood and Cremer, 1982]
mentre il concetto di senescenza come un risultato della diminuzione della numero di cellule negli organi fu discusso
da Szilard [Szilard, 1959], sebbene nel contesto di una teoria che attribuiva
la perdita delle cellule all'accumulo di mutazioni somatiche. A sostegno di questa tesi, per alcune specie,
come i Rockfish e le aragoste, sia la lunghezza dei telomeri che i tassi di mortalità risultano invariati con l'età
[Klapper, Heidorn et al., 1998;
Klapper, Kühne et al., 1998].
Vi è evidenza empirica per un significato adattativo del fenomeno del declino della fitness in correlazione con l'età
[Libertini, 2008], che nella sua espressione più avanzata, comune in condizioni
protette, è abitualmente chiamato ‘invecchiamento’, un termine impreciso [Libertini, 2006].
Una teoria, la stessa di quella sopra menzionate per spiegare la senescenza cellulare e la senescenza replicativa
nel lievito, spiega questo declino della fitness come evolutivamente vantaggioso in base ad un meccanismo
di selezione di parentela che, in conseguenza di un più veloce ricambio delle generazioni, permette un più rapido
diffondersi di qualsiasi mutazione vantaggiosa. In base a questa teoria, il vantaggio esiste in condizioni di
K-selezione (specie divisa in demi, popolati da individui imparentati, e con habitat saturi in cui solo la morte
di un individuo libera spazio per un nuovo individuo) [Libertini, 1988,
2006].
La principale obiezione contro questa teoria, analoga all'argomentazione di Lewis sopra ricordata
è che “Di regola, gli animali selvatici semplicemente non vivono tanto a lungo da poter diventare vecchi.
Pertanto, la selezione naturale ha limitata opportunità di esercitare diretta influenza sul processo di
invecchiamento.” [Kirkwood and Austad, 2000].
Questa obiezione, analoga all'argomentazione di Lewis, non tiene conto di un punto chiave: l'esistenza o l'assenza
in condizioni naturali di individui “vecchi” (ad es., individui di P. leo più vecchi di 15 anni) non è importante.
Individui di P. leo con età minore a 15 anni sono individui “non vecchi”, eppure mostrano una crescente
riduzione della fitness ad età esistenti in condizioni naturali: ciò riduce significativamente la ML con un conseguente
più veloce ricambio delle generazioni ed un possibile vantaggio selettivo.
“La senescenza riduce la longevità ... di circa l'80% quando m0 = 0.01 yr-1”
[Ricklefs, 1998]. Per quella parte di una popolazione che sopravvive
all'alto rischio di mortalità delle prime fasi della vita, il rapporto tra le residue ML senza e con l'incremento
della mortalità in correlazione con l'età è stato stimato essere nell'ambito tra 2.5 e 5 per otto specie di mammiferi
in condizioni naturali. Senza la sottrazione delle prime fasi della vita, il rapporto è stato stimato essere
nell'ambito tra 1.55 e 3.21 [Libertini, 1988].
In breve, in condizioni naturali, la riduzione della ML causata dall'incremento della mortalità in correlazione
con l'età non è irrilevante, sebbene gli equivalenti di uomini settantenni o ancora più anziani per specie
animali sono verosimilmente inesistenti allo stato selvatico.
CORRELAZIONI FILOGENETICHE
L'evidenza empirica e le argomentazioni sopra ricordate suggeriscono una correlazione filogenetica tra i fenomeni
osservati in colonie di cellule di lievito imparentate e fenomeni analoghi in organismi multicellulari. Questi fenomeni
richiedono la formulazione di una ipotesi generale filogenetica per l'apoptosi, il sistema telomero-telomerasi,
la senescenza cellulare, la senescenza replicativa e il declino della fitness in relazione all'età, che è comunemente
ma imprecisamente chiamato “invecchiamento”. I fenomeni correlati nei batteri debbono anche essere considerati
nel modello filogenetico.
In particolare (vedi Tabella 1 e fig. 9):
a) I fenomeni descritti negli eubatteri come “proapoptosi”, attivati in particolari condizioni e probabilmente favoriti
dal meccanismo della selezione di parentela (ad es., per il fitoplancton batterico: “Poiché in una fioritura
la maggior parte degli individui del plankton sono pressoché identici geneticamente, dal punto di vista
dei loro geni, una moria che crea abbastanza terra bruciata da bloccare la diffusione di un virus può
avere significato” [Lane, 2008]), sono stati interpretati come plausibili precursori
filogenetici dell'apoptosi negli eucarioti [Hochman, 1997]. La proapoptosi, una forma
di “suicidio utile in condizioni critiche”, è necessariamente derivata da una precedente condizione in cui
questo meccanismo era inesistente.
b) Gli eubatteri si sono evoluti negli eucarioti monocellulari. L'apoptosi degli eucarioti monocellulari,
verosimilmente derivata da una forma di proapoptosi eubatterica, nel lievito è scatenata dalla mancanza
di nutrimento, condizioni di danno cellulare, accoppiamento fallito, etc. In questi casi, è favorita dalla selezione
di parentela in quanto il suicidio cellulare aumenta le probabilità di sopravvivenza di cellule
imparentate [Herker et al., 2004] (“suicidio utile in condizioni critiche”).
c) Sia per la proapoptosi che per l'apoptosi, un meccanismo che attivi la modalità di suicidio ma che
uccida solo una parte della popolazione - proporzionale alla severità della condizione di stress - è indispensabile.
Il lievito ha evoluto un meccanismo efficiente basato sul numero delle precedenti duplicazioni e un orologio
basato su telomero, telomerasi ed ERC [Büttner et al., 2006;
Fabrizio and Longo, 2008;
Herker et al., 2004; Laun et al., 2007].
d) L'apoptosi delle specie multicellulari eucarioti ha una evidente relazione filogenetica con l'apoptosi
degli eucarioti monocellulari [Longo and Finch, 2003]. Nella maggior
parte delle specie, l'orologio evoluto non utilizza gli ERC [Fossel, 2004].
Considerando ogni individuo multicellulare come un clone avente tutte le cellule con gli stessi geni
(coefficiente di parentela, r, eguale a 1) ma con funzioni differenziate, l'apoptosi di cellule meno adatte
può essere considerata come favorita da meccanismi analoghi di selezione di parentela.
e) Negli organismi multicellulari, l'apoptosi come parte dei meccanismi morfogenetici (ad es., embriogenesi, sviluppo
o rimodellamento di un tessuto, turnover dei tessuti) e della selezione dei linfociti è palesemente una funzione derivata,
essendo impossibile negli organismi monocellulari;
f) Nel lievito, l'apoptosi, la senescenza cellulare e la senescenza replicativa, geneticamente determinati
da meccanismi basati sul sistema telomero-telomerasi, appaiono contrastare il “conservatorismo genetico”
[Büttner et al., 2006]. Inoltre, questi fenomeni potrebbero
essere spiegati come favoriti dalla selezione di parentela, come per gli organismi multicellulari
[Libertini, 1988, 2006]. La predisposizione
al suicidio passa da una modalità utile solo in condizioni di emergenza ad una utile anche al di fuori di condizioni
di stress (“suicidio utile in condizioni non critiche”).
g) Negli organismi multicellulari, l'apoptosi, la senescenza cellulare e la senescenza replicativa, causano limiti
correlati con l'età nel turnover cellulare con conseguente declino della fitness in correlazione con l'età
[Fossel, 2004; Libertini, 2006]
(“stato senile” nelle sue espressioni più avanzate [Libertini, 2006]), e ciò è stato
spiegato in termini di selezione di parentela in condizioni di K-selezione [Libertini, 1988,
2006].
In breve, i meccanismi di “invecchiamento” nel lievito, un eucariote monocellulare, e nelle specie multicellulari
eucarioti, separate da circa 600 milioni di diversa evoluzione, sono incredibilmente simili nelle loro componenti
fisiologiche di base e nelle spiegazioni selettive. Inoltre, l'apoptosi, il cuore di questi meccanismi, ha le sue
radici filogenetiche nei meccanismi proapoptotici degli eubatteri.
Figura 9 – Proapoptosi, apoptosi, senescenza cellulare e senescenza replicativa in uno schema di filogenesi.
Tabella 1 - Confronto di tre funzioni nei batteri, nel lievito (eucariota monocellulare) e negli eucarioti multicellulari
Fenomeno | Descrizione | Funzione nei batteri | Funzione nel lievito (e altri eucarioti monocellulari) | Funzione negli eucarioti multicellulari
Proapoptosi
| Vari tipi di meccanismi batterici di autodistruzione
| Attivata da varie condizioni (Nota 1)
| -
| -
| Apoptosi
| Ordinato processo di autodistruzione con modalità che permettono l'uso dei componenti cellulari da parte di altre cellule
| -
| Attivata quando i nutrienti sono scarsi, l'accoppiamento non è coronato da successo e in individui vecchi | (Nota 1) Elimina cellule danneggiate | (Nota 2) Essenziale per la morfogenesi e per fenomeni similari Nota 2) Essenziale per determinare il turnover cellulare la cui progressiva compromissione contribuisce al declino della fitness correlato con l'età (Nota 1) Senescenza cellulare e senescenza replicativa
| In relazione al numero di replicazioni, in una cultura cellulare, progressiva compromissione delle funzioni cellulari,
crescente probabilità di apoptosi e di perdita delle capacità di duplicazione, determinata dalla repressione del DNA subtelomerico
| -
| Riduce la ML, causando un turnover cellulare più veloce | (Nota 1) Contribuisce a rallentare progressivamente il turnover cellulare, determinando il declino della fitness correlato
con l'età (definito “stato senile” nelle sue espressioni più avanzate) e, di conseguenza, la riduzione della ML
e un più veloce turnover delle generazioni | (Nota 1)
Nota 1 = comportamento/i altruistico/i favorito/i dalla selezione di parentela in condizioni di K-selezione | Nota 2 = comportamento altruistico considerando l'individuo multicellulare come un clone |
CONCLUSIONE
L'invecchiamento nel lievito è considerato adattativo mentre, per gli eucarioti multicellulari, questa idea è esclusa dal corrente paradigma gerontologico [Kirkwood and Austad, 2000], il che è confutato sia da argomentazioni teoriche sia dall'evidenza empirica [Goldsmith, 2003; Libertini, 1988, 2006, 2008; Longo et al., 2005; Mitteldorf, 2006; Skulachev, 1997]. La figura 10 mostra che perfino Autori di peso, non frenati dal corrente paradigma, non sostengono apertamente che l'apoptosi è parte dei meccanismi dell'invecchiamento nella nostra specie, mentre per altre specie ciò è sostenuto [Longo and Finch, 2003; Longo et al., 2005].
Figura 10 – Schema dei meccanismi di innesco dell'apoptosi in vari phyla eucarioti. Parte di una figura
(ridisegnata) da Longo et al. [Longo et al., 2005], ricavata con modifiche
da Longo e Finch [Longo and Finch, 2003]. L'apoptosi è considerata
parte del processo dell'invecchiamento, ma solo per la nostra specie ciò è ritenuto dubbio (vedi la freccia orizzontale,
aggiunta allo schema originale) senza una spiegazione razionale.
Il meccanismo dell'apoptosi e il sistema telomero-telomerasi sono meccanismi sofisticati, necessariamente determinati e
fortemente regolati da geni forgiati dalla selezione naturale. Essi sono ubiquitari nel mondo eucariote e le molte variazioni
tra i differenti phyla non mettono in dubbio la loro origine unitaria [Longo et al., 2005].
Ciò suggerisce con forza che hanno importanti significati evolutivi che sono correlati con la senescenza cellulare (“modello
limitato della senescenza cellulare” di Fossel [Fossel, 2004] e, verosimilmente, con
il declino della fitness in correlazione con l'età dell'intero organismo (“modello generale dell'invecchiamento basato sulla
senescenza cellulare” di Fossel [Fossel, 2004; Libertini, 2006]).
In contrasto con questa evidenza, le correnti teorie gerontologiche sostengono che il declino della fitness in correlazione
con l'età, un fenomeno certamente osservabile ad età esistenti allo stato selvatico [Libertini, 2008],
è determinato da fattori casuali (mutazioni dannose, effetti imprevedibili di geni pleiotropici o di contrastanti esigenze evolutive
[Edney and Gill, 1968; Hamilton, 1966;
Kirkwood, 1977; Kirkwood and Holliday, 1979;
Medawar, 1952; Mueller, 1987;
Partridge and Barton, 1993; Rose, 1991;
Williams, 1957]).
Questo esclude gli anzidetti meccanismi, i quali sono sofisticati e altamente regolati, come cause del fenomeno.
E' importante sottolineare che gli effetti limitanti sulla durata della vita del sistema telomero-telomerasi sono
correntemente interpretati come una difesa generale contro il cancro [Campisi, 1997,
2003; Troen, 2003;
Wright and Shay, 2005] ma vi sono forti argomentazioni
ed evidenze contro questa ipotesi [Fossel, 2004;
Libertini, 2008; Milewski, 2010] (ad es.,
le cellule senescenti secernono sostanze che accrescono i tassi di mutazione ed il rischio di oncogenesi
[Parrinello et al., 2005; Coppé et al., 2008]).
Il fermo attaccamento all'ipotesi della difesa contro il cancro da parte dei sostenitori delle teorie non adattative
può essere spiegato dal fatto che non esiste alcuna altra spiegazione compatibile con le ipotesi non adattative
ed utilizzando conoscenze filosofiche e storiche [Milewski 2010].
Le correnti teorie gerontologiche contrastano fortemente con le funzioni dell'apoptosi, del sistema telomero-telomerasi,
della senescenza cellulare e della senescenza replicativa, nella loro schematizzazione filogenetica delineata
in questo lavoro, che è basato sul concetto che tutti questi fenomeni sono certamente adattativi.
Questo contrasto dovrebbe essere risolto dalle correnti teorie gerontologiche o, al contrario, tali teorie
dovrebbero essere abbandonate e sostituite dal paradigma alternativo secondo cui il declino della fitness correlato
con l'età è una funzione con un vantaggio evolutivo e propri meccanismi fisiologici.
Inoltre, la tesi sostenuta in questo lavoro, vale a dire che meccanismi attivi geneticamente regolati, basati
sul sistema telomero-telomerasi e determinanti la morte di un organismo hanno una storia filogenetica molto antica,
non dovrebbe essere considerata una sorpresa se consideriamo gli innumerevoli e ben conosciuti casi di fenoptosi
mediante rapida senescenza e improvvisa morte ampiamente descritti altrove [Finch, 1990].
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